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Ordinanza Nardella: Firenze diventa la patria del nazionalismo alimentare

25 Marzo 2016
Ordinanza Nardella
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A metà marzo il sindaco di Firenze Dario Nardella ha emesso un’ordinanza stabilendo nuove regole per il centro storico: chi aprirà una nuova attività alimentare o di somministrazione sarà obbligato a utilizzare al 70% prodotti di filiera corta o comunque rigorosamente toscani. Gli esercizi già operativi avranno tre anni di tempo per adeguarsi. Inoltre chi vende alcolici dovrà esporre e offrire al pubblico almeno altri cinque tipi di merci. Pannelli e led luminosi dovranno comunque sparire dalle strade del centro storico.

Il sindaco ha dichiarato: “Questo provvedimento arriva in una situazione difficile per le città d’arte, perché la deregulation Bersani-Monti ha cancellato qualunque forma di autorizzazione e controllo sulla vendita e la somministrazione di alimenti. L’effetto è stato lo snaturamento dei valori culturali del food in centro. Qui apre un ristorante a settimana, cibo di massa a soppiantare osterie e botteghe storiche. Noi vogliamo mettere un filtro contro questa dequalificazione”.

In pratica si tratta di un giro di vite contro minimarket bengalesi, ristoranti cinesi e kebab, attività sempre più presenti nei centri storici delle nostre città grazie ai tanti locali lasciati vuoti da commercianti falliti a causa della grande crisi degli anni 2009-2015.

Un’iniziativa che nasce con l’intento esplicito di stimolare il consumo di prodotti tipici toscani da parte dei milioni di turisti che ogni anno visitano Firenze. Intento legittimo da parte di un sindaco, che però risulta un po’ miope analizzato in un contesto più ampio. Vediamo insieme i punti più criticati dell’ordinanza Nardella, messi in discussione anche dagli stessi commercianti fiorentini e da alcuni consiglieri comunali.

1 – La quota del 70% è giudicata eccessiva. Vorrebbe dire che non sarà più possibile offrire pizza napoletana, mozzarella di bufala del basso Lazio, orecchiette pugliesi, dolci siciliani, tortellini emiliani, cotolette milanesi.

2 – Si tratta di una violazione del libero mercato. I commercianti che cedono i loro locali ad imprenditori stranieri lo fanno per loro convenienza, non perché costretti. Sarebbe bastato affrontare il problema prima della desertificazione del commercio locale. Si chiude la stalla dopo che sono scappati i buoi. Di pura razza chianina, ovviamente.

3 – La quasi assoluta omogenia gastro-culturale che risulterà dall’applicazione dell’ordinanza Nardella non rischia di essere controproducente, soprattutto per i cittadini del centro storico di Firenze? Se tutti i locali del centro offrono pici ai funghi porcini, bistecche e finocchiona alla lunga non sarà noioso? Uno dei pochi vantaggi della vita in una grande città, infatti, è proprio il cosmopolitismo; con questa decisione Firenze si condanna invece a un orgoglioso provincialismo.

4 – Sarà interessante vedere se tanta solerzia sarà applicata anche ai giganti del fast food come McDonald’s e Burger King, icone dell’imprenditoria Made in USA, mondo culturale di riferimento del presidente del consiglio Renzi e quindi, presumibilmente, anche del sindaco Nardella.

5 – Per immaginare cosa potrebbe succedere sul lungo periodo leggete questo divertente articolo pubblicato sull’edizione fiorentina di Repubblica: lo spacciatore di sushi.

Fonti:

Firenze.repubblica.it/cronaca

Ilgiornale.it/news/politica

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