Chi l’ha detto che il mestiere dello chef è il più stressante al mondo? A sfatare questa affermazione è l’istrionico e sanguigno Gianfranco Vissani che, in un articolo apparso su Dissapore e sul Fatto Quotidiano, ha dichiarato decisamente “retorico” questo concetto.
Che gli chef siano oberati di lavoro, vessati, alle volte sottopagati, sempre sull’orlo di una crisi di nervi, per il “Big Vissani”, special guest del corso di cucina professionale organizzato da Italian Food Academy, non è affatto vero.
La questione è nata dalla pubblicazione di un recente studio da parte dell’Università di Harvard, che ha classificato il mestiere dello chef tra i dieci più stressanti al mondo.
Il mestiere dello chef, il più stressante al mondo? Forse non è così
Turni massacranti, doppi servizi, festività negate, sempre di corsa e sempre concentrati, sull’orlo di una crisi di nervi per evitare errori fatali. Sarebbero queste le motivazioni a favore della tesi dell’Università di Harvard sul mestiere dello chef come il più stressante di tutti. Ma forse non è proprio così.
“E’ stato gettato un sasso nello stagno tanto per agitare le acque – afferma Vissani – con la certezza che qualche pesce in vena di protagonismo avrebbe abboccato fornendo pareri a aneddoti più o meno qualunquisti e improvvisati. E chi ci rimette è il lettore, frustrato da una serie di banalità”.
Gianfranco Vissani ha spiegato che quello dello chef è sicuramente un lavoro totalizzante, che si svolge quando gli altri si divertono o festeggiano il pranzo di Natale come qualsiasi altra festività: non è una passeggiata, insomma, ma la cucina non è nemmeno quel lager che molti raccontano.
Lo chef umbro parla anche delle impagabili soddisfazioni del mestiere, della creatività che viene sempre stimolata, del brivido della creazione di un nuovo piatto, della scoperta di un nuovo ingrediente, dell’orgoglio di aver trasmesso emozioni ai clienti, condotto in modo impeccabile la squadra in cucina, fatto uscire i piatti in tempo in situazioni frenetiche.
Una fatica, quindi, che viene ripagata dai tanti aspetti positivi; eppure oggi si tende a romanzare il mestiere dello chef, forse perché nell’immaginario comune si sta creando una certa immagine del professionista che non necessariamente corrisponde a realtà. Allora Vissani punta il dito contro un’informazione vacua e non veritiera, sperando che si torni a parlare di chef e del mondo della cucina con il rispetto che meritano, con la giusta attenzione, senza privare di dignità questo affascinante, duro, ma straordinario mestiere.
Che non si tratti, insomma, il lavoro dello chef come un piatto da farcire. In questo caso è la sostanza che conta!