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Moritsuke: l’arte giapponese dell’impiattamento

28 Novembre 2022
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Tra i piatti tipici della cucina giapponese, sicuramente in Occidente il sushi è il più noto, ma di certo non è l’unica deliziosa pietanza orientale da poter presentare su un servizio da tavola giapponese. Secondo l’antica tradizione orientale, il momento del pasto non si esaurisce in una mera necessità fisiologica, ma alla preparazione e al servizio dei pasti viene attribuito anche un valore spirituale. L’arte giapponese di disporre il cibo prende il nome di Moritsuke, una pratica tramandata di generazione in generazione. Moritsuke è l’interazione tra tradizione e momento presente, spazio e possibilità, intrigo e calma. Concentrandosi sulla stagionalità, sulle stoviglie, sullo spazio vuoto e sulla disposizione, si presenta come un’arte delicata con l’obiettivo di raggiungere l’armonia in ogni piatto.

L’attenzione per le stoviglie nell’impiattamento giapponese

Nella cucina giapponese ogni piatto e ciotola viene considerato attentamente per accentuare le qualità del piatto che serve.  Non ci sono due piatti uguali e ogni pezzo può essere di forma, dimensione, colore e materiale diverso con vari motivi decorativi. Nonostante l’asimmetria, il risultato è un capolavoro straordinario e unico. Ad esempio, nelle piccole ciotole sarà facile trovare una piccola porzione di zuppa di miso o simili. Nel caso di ramen e noodles vengono invece impiegate ciotole simili, ma più grandi. Anche la bevanda nazionale per eccellenza, il vino di riso o sakè, ha il suo tradizionale servizio di portata, composto da piccoli bicchierini in ceramica e un’apposita bottiglia ergonomica, che può essere riscaldata.

La stagionalità dei piatti giapponesi

Nella scelta del piatto, degno di particolare nota è l’accento che viene posto sulla stagione e sul cibo che porta. I giapponesi percepiscono in modo molto marcato l’avvicendarsi delle stagioni e le loro diverse manifestazioni: fiori, alberi, vento, pioggia e neve.
Il cambio di stagione esercita un sottile influsso sulla loro vita emotiva: provoca nostalgia, felicità o tristezza e lo si può osservare chiaramente, anche se in modo simbolizzato. Ad esempio, Shun, l’alimento fresco di stagione, è un concetto molto importante per ogni cuoco. Dai dettagli sulle stoviglie alle combinazioni di colori, ogni aspetto riflette il fascino di ogni periodo dell’anno. Rosa, verde e fiori di ciliegio sono soliti durante la primavera mentre pino, bambù e prugne appaiono in inverno. In autunno fanno capolino i rossi, gli ori e le foglie d’acero. I noodles vengono serviti in grandi ciotole d’inverno e refrigerati sopra il ghiaccio in cestini di bambù per l’estate. Interessante è il fatto che esistano alcuni tradizionali dolci giapponesi che vengono prodotti esclusivamente in specifici periodi dell’anno: i wagashi. Tipico dolce di gennaio, hanabiramochi, tradotto come mochi di petali di fiori, consiste in una torta di riso rotonda che viene ripiegata attorno alla pasta di fagioli, spesso caratterizzata da una sottile sfumatura rosa. La storia dell’hanabiramochi risale all’era Meiji (1868-1912) e, nel tempo è stato comunemente associato al Capodanno; al giorno d’oggi, viene tradizionalmente servito come parte della prima cerimonia del tè dell’anno. Ogni elemento di questo dolce porta un simbolismo specifico: mentre la tonalità rosa rappresenta il fiore di ume, simbolo di nuovi inizi, la radice di bardana è usata come simbolo di longevità. Tra i wagashi, il Sakura-mochi è quello più fortemente legato alla Primavera, e quindi alla fioritura dei celebri fiori che dipingono di rosa tutto il Paese. Questa versione prevede un mochi farcito con marmellata di fagioli rossi che viene poi avvolto in una foglia salata di ciliegio: l’incontro tra questi due sapori crea un gusto davvero particolare.

“Less is more”

Dal design d’interni minimalista ai dipinti tradizionali, il concetto giapponese di spazio vuoto può essere trovato in ogni tutta la cultura giapponese, compresa quella culinaria. La filosofia giapponese in cucina infatti prevede armonia, pulizia e purezza e la disposizione del cibo giapponese è guidata da una serie di principi e regole chiave per garantire che ogni piatto sia tanto bello quanto delizioso. Nelle sale da pranzo, ad esempio, i piatti non sono mai riempiti fino all’orlo completamente coperti. Lo spazio vuoto aiuta l’occhio e quindi il palato, a concentrarsi sul pasto, creando il desiderio di riempire il vuoto con il pieno. Il cibo non deve prevalere sul contenitore e il contenitore non deve prevalere sul cibo, non esistono piatti immensi e porzioni minime, per esempio. Tutto ciò che è nel piatto inoltre deve essere commestibile, altrimenti è inutile e superfluo. Alcuni degli arrangiamenti più comuni includono yama no katachi, che consiste nel disporre il cibo in un display simile a una montagna, e sugimori, per modellare il cibo come un albero di cedro conico. La tecnica più difficile da padroneggiare è il chirashimori, che consiste nel disporre una porzione di pesce e una di carne, cui se ne posso aggiungere altre tenendo sempre a mente la regola dell’asimmetria.

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