Il mondo dell’Alta Cucina piange oggi uno degli chef più grandi che abbia mai avuto. All’età di 73 anni muore Joel Robuchon, il cuoco simbolo di una innovata cuisine francese, lo chef più stellato (32 stelle!), il “genio della gastronomia transalpina” – così come veniva chiamato. L’uomo che aveva collezionato tra i più prestigiosi riconoscimenti del settore, come la distinzione di Meilleur Ouvrier de France nel 1976, miglior Cuoco dell’anno nel 1987 e miglior Cuoco del Secolo nel 1990.
Si è spento a Ginevra, dopo una lunga lotta contro un tumore al pancreas che nelle ultime settimane lo aveva fortemente debilitato. Grande tristezza tra tutti gli operatori del settore che in lui hanno sempre visto un maestro da emulare. Robuchon era a capo di un impero gastronomico disseminato in tutto il mondo: ristoranti che portano la sua filosofia di Cucina in ogni angolo del pianeta: in madrepatria, a Tokyo, Hong Kong, Londra, New York, Bangkok e Las Vegas con i suoi “Atelier“.
Già con la scomparsa, nei mesi scorsi, di Paul Bocuse, era venuto meno un altro esponente del Gotha della ristorazione, l’oltralpe gastronomico aveva subito una grossa perdita che adesso si accentua, lasciando un vuoto, che potrà colmarsi solo col ricordo e l’esempio dei due chef.
“La cucina è la semplicità e la cosa più difficile è la semplicità“. Era ciò che Robuchon ripeteva sempre. Lui, che la Cucina l’ha innovata, mettendo al primo posto i prodotti, che sceglieva con rigore quasi maniacale, che restava fedele alla regola della semplicità e della tradizione, orgoglioso che il suo piatto più rappresentativo fosse sempre un semplice, ma unico, purè di patate.
Una passione per la cucina cominciata a 15 anni, quando lascia gli studi religiosi e si ricicla aiuto-pasticciere, per poi andare da un ristorante all’altro, prima di diventare, a 29 anni, responsabile di un team di 90 persone al Concorde Lafayette di Parigi.
Poi il primo trofeo a 30 anni: “Miglior artigiano di Francia”. Poi lo troviamo al Nikko dove riceve le prime due stelle Michelin. Nel 1981 apre il suo primo locale, Le Jamin al XVI° arrondissement, e raggiunge la tripla stella per poi conquistare, nel ’90, il titolo di “cuoco del secolo”, attribuitogli dalla guida Gault & Millau.
A 50 anni si dedica alla scrittura di libri di gastronomia, ormai considerati Bibbia del settore, partecipa alle trasmissioni tv (come la mitica “Bòn appentit, bien sur”), sempre portando in scena il suo caratteristico savoir faire e la sua ricerca spasmodica per la semplicità. Un minimalismo prezioso e autentico, ancora oggi vero stendardo per molti aspiranti chef.