Che siano intinti nel vinsanto del Chianti o mangiati al naturale, una cosa è certa: i cantucci toscani sono,
dal punto di vista gastronomico, ciò che più identifica questa terra gustosa nel resto del mondo.
La storia di questo biscotto secco con le mandorle è antica e ha subito tante “contaminazioni” prima di
arrivare alla sua versione finale, come noi oggi la conosciamo e che si fregia anche del riconoscimento
di Indicazione Geografica Protetta.
La loro comparsa ci riporta ai tempi dell’Antica Roma, con il cantellus, vale a dire un pezzo di pane
biscottato aromatizzato all’anice, che era nutrimento ideale per le truppe durante le campagne militari.
Successivamente, nel XIV secolo, si diffuse tra le famiglie contadine; i panettieri preparavano dei filoncini
di pane dolce per i facoltosi clienti e le parti scartate, quelle “accantonate” per l’appunto, e
soprannominate cantucci, venivano cotte e destinate alle famiglie popolane.
Caterina de’ Medici, intenditrice di gastronomia e dal palato raffinato, arricchì la ricetta con le mandorle
pelate. Presto la fama dei cantucci si diffuse in tutta Europa e nel 1779, l’erudito pratese Amadio
Baldanzi ne codificò la prima ricetta ufficiale.
Fu poi nella seconda metà del ‘800, che il pasticcere Antonio Mattei riprese la ricetta dei cantucci e
presentò la sua creazione all’esposizione universale di Parigi del 1867, consacrando la fama dei
cantucci come tipico biscotto toscano, ma soprattutto di Prato.
In tutta la regione sono disseminate pasticcerie e forni dove oggi è possibile acquistare e degustare il
famoso dolcetto toscano. Un’esplosione di profumi e aromi che raccontano una terra, un goloso invito a
conoscere le sue tradizioni, la sua storia.