Ha avuto una brutta nomea, era considerato solo un cibo veloce, di bassa qualità, buono giusto per tappare un improvviso buco nello stomaco. Massificato, alfiere della globalizzazione, corresponsabile della deforestazione. Poi ha fatto autocritica, ha combattuto contro i pregiudizi ed è assurto a nuova vita.
Da qualche anno l’hamburger è un piatto di tendenza, da abbinare al vino giusto in ristoranti stellati o in bistrot ricercati, capace di generare una propria letteratura e dibattiti tra critici e chef.
I protagonisti di questa svolta gastro-storica sono due francesi. Il primo, Daniel Boulud, chef in quel di New York, che propose nel 2000 ai suoi ricchi clienti dell’upper est side un panino arricchito da una fettina di fois gras, e fu premiato da immediato successo.
Il secondo, Victor Garnier, nel 2013 ha scritto un libro, intitolato appunto “Hamburger gourmet”, in cui oltre a mettere per iscritto le 58 ricette che vengono servite da Blend, il suo ristorante parigino, ripercorre la storia di questo cibo di strada sancendo in questo modo la sua nuova vita.
Questa tendenza è ovviamente giunta anche da noi e ormai in tutte le città d’Italia è possibile mangiare in locali più o meno eleganti e/o accoglienti in cui il panino a base di carne viene servito in un piatto, con accompagnamento di patate fritte, insalata o altro contorno e pagato cifre che vanno dagli 8 euro agli 80 euro. Infatti anche Eataly ha aperto le sue hamburgerie.
Alla questione mancava solo il commento sapiente di un masterchef, per fortuna è intervenuto prontamente Joe Bastianich che ha dichiarato, nella prefazione di ”Hamburger all’italiana”, che il nostro Paese è l’unico posto in grado di rendere giustizia al famoso panino, grazie alle tante materie prime di qualità e a una tradizione culinaria incredibilmente ricca e variegata.
Anche il linguaggio si è adeguato alla nuova moda, i meglio informati, per fare bella figura con i camerieri, hanno imparato che ogni componente del panino ha il suo nome specifico. Il pezzo di carne al centro del panino si chiama “patty”, le due fette di pane si chiamano “buns” e sono possibili infinite variazioni di ingredienti per dare forma e sostanza a questi componenti. Già si sono visti panini cotti su cenere di bambù oppure aromatizzati al nero di seppia, tanto per intenderci.
Ma che ne è stato degli esportatori per antonomasia dell’hamburger americano, quelle catene di fast food che hanno diffuso in tutto il mondo questo format alimentare così adeguato ai tempi moderni? Si sono prontamente adattati, come il marketing insegna. Gualtiero Marchesi ha firmato un panino di élite per McDonald. Burger King ha aumentato e migliorato la propria offerta, arrivando al triple whopper, e puntando all’utenza dei ragazzotti urbani, i più sensibili alle fluttuazioni delle mode e quindi i più facili da impressionare.
Che poi questi nuovi hamburger super-chic siano quasi impossibili da mangiare in 3-4 bocconi, come la tradizione yankee comanda, e si finisca sempre per far crollare tutta l’architettura ed essere costretti a finirli di mangiare a pezzetti, a chi che importa?
Fonti:
Dissapore.com
Amazon.it/Blend-hamburger-gourmet
Amazon.it/hamburger-all-italiana