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Nello Gatti. L’intervista “all’Ambasciatore” che non porta pena, ma da bere

26 Settembre 2023
intervista anello gatti italian food academy
Contenuti

Mente brillante, carattere sanguigno, freschezza di idee. Nello Gatti è in realtà molto più di questo e,
come un buon vino, anche lui si fa conoscere passo dopo passo.
Nato alle pendici della Campania Felix e cresciuto nel cuore della Food Valley, Nello Gatti ha sempre avuto un legame intrinseco con l’enogastronomia. Sommelier dal profilo internazionale, si è guadagnato negli anni l’alias “L’Ambasciatore” grazie a un percorso che lo ha visto crescere professionalmente in diverse Aree e Paesi, instaurando numerose collaborazioni e partnership nel settore Wine, Food e Hospitality in giro per il mondo. Rientrato da Londra nel 2019, è impegnato in attività di sviluppo e promozione del settore vitivinicolo, sempre accompagnato da calice, camera e penna.
Lo abbiamo incontrato e…leggete un po’ qua…

Come nasce la passione per il vino?
Nessun ricordo di nonni che producevano vino né tantomeno provengo da una famiglia di estimatori,
sono entrato nel mondo del vino per esigenza, compiendo i primi passi affiancando agenti di commercio
e frequentando ristoratori italiani durante il mio periodo di studi universitari a Vienna. Una prospettiva
diversa, maggiormente rivolta al commercio e sensibile alla percezione del mercato. Penso tutt’ora sia
uno dei grandi punti di forza della mia formazione, che si è poi perfezionata con studi, titoli e diverse
esperienze presso importatori, ristoratori, cantine e organizzazioni di eventi. Un avvio insolito insomma,
ma che è riuscito a condurmi nel cuore del mondo del vino.

Quando hai capito che sarebbe stato il tuo futuro?
È un amore che si rinnova ad ogni esperienza, ad ogni nuova scoperta, attraverso le voci dei produttori e
le evoluzioni che legano il vino ai numerosi aspetti della vita di tutti giorni, oltre ai chiari riferimenti di
carattere storico, culturale, antropologico. Il sentirsi costantemente “allievo” di questo mondo così aperto
rende vivo questo legame e il poter esserne parte attiva gratifica tutti gli sforzi fatti. Se da un lato non si
finisce mai di imparare, dall’altro nemmeno di poter aiutare.

Cos’è che ti piace davvero del vino?
Ancor più delle sue connotazioni tecniche, chimiche o scientifiche, sono affascinato dall’esplorazione. Il
vino ha oltrepassato come un raggio laser i millenni e le varie civiltà, donandoci oggi un pezzo di storia
non replicabile in altre forme se non attraverso il calice. Inoltre, permette a noi tutti di ragionare su
questioni dalle più importanti alle più conviviali. È uno strumento di unione, di riflessione e di crescita.

Nella tua attività come docente cosa vuoi trasmettere ai tuoi studenti?
Vorrei invitarli a ragionare sviluppando un proprio senso critico che poggia sullo studio e sulla
consapevolezza, in cui una materia “viva” come il vino non può subire le generalizzazioni o
banalizzazioni tipiche cui siamo spesso spettatori. Formare futuri appassionati è importantissimo e in tal
senso, numerose associazioni e sigle hanno avviato diversi percorsi molto utili, ma temo che la mancata
integrazione del percorso da sommelier con materie di carattere umanistico e manageriale, oltre che a
una buona dose di interazione “live” che vada oltre la degustazione tecnica, sfornerà tanti professionisti
nel settore abituati a leggere e schematizzare, piuttosto che a ragionare ed intervenire. A mio avviso,
così come abbiamo testato con i nostri studenti, dovremmo dare uno spazio maggiore al senso pratico
della materia con visite, degustazioni interattive, approfondimenti, case study e approcci multidisciplinari,
raccogliendo le esperienze e le peculiarità di altre realtà nella piena comprensione del vino inteso non
come bevanda alcolica, bensì modello culturale e patrimonio dell’umanità.

Qual è il complimento più bello ricevuto da loro?
La loro manifestazione di interesse e di approfondire è già di per sé una grande gratificazione per noi
che siamo sempre pronti a condividere le nostre conoscenze. Come nelle più belle storie d’amore o negli
affetti più sinceri, anche in questo caso sono quelle sensazioni che emanano i loro sguardi il miglior
complimento che possiamo ricevere. Inoltre, sentirsi coinvolti anche in futuro con alcuni studenti,
rafforzano quelle piacevoli sensazioni provate durante il corso, segno che oltre allo scambio di
informazioni, si è anche creata stima, fiducia e sicurezza. Oggi se sono arrivato fino a qui, conscio di
tutta la strada che c’è ancora da percorrere, è soprattutto grazie a loro e quindi i complimenti vanno ad ogni singolo studente, collega o docente per avermi reso ad ogni confronto una persona più matura, più
attenta.

Come nasce “L’Ambasciatore”?
Mi viene sempre un po’ da ridere quando me lo chiedono perché non c’è alcuna autoproclamazione o
smania di grandezza in questo alias che viaggia assieme al mio nome da diversi anni ormai. Il tutto
nasce da una mia pregressa esperienza lavorativa in Spagna, in cui il Titolare, un po’ abbindolato dai
modi, quello stile di abbigliamento elegante e una precedente esperienza presso l’Ambasciata Italiana a
Bruxelles, mi apostrofava affettuosamente con il nickname “l’Ambasciatore”. In cuor suo, sono certo si
riferisse anche a un desiderio di vedermi fare da ponte tra produttori e mercato, tra consumatori e mode,
in cui un vero ambasciatore era colui che riusciva a far da termometro in tutte queste situazioni e a
condurre con diplomazia le vicende personali e lavorative. Nella realtà dei fatti, non sono andato così
lontano da quelle stesse intenzioni: andavo a pranzo con i competitors, elogiavo Cantine che magari non
erano nel nostro portfolio prodotti e intrattenevo ottime relazioni anche con ristoranti che non erano
clienti… insomma non volevo andare contro gli affari del mio datore di lavoro, al contrario fornire a lui e
me stesso un più ampio scenario in cui la competizione è sana e punta a migliorarsi, anticipando le
mosse del mercato e migliorando la propria presenza sul territorio proprio perché ci si era posti come
interlocutori attenti e propositivi su ampia scala. Col tempo è diventata poi una mission, in cui mi sono
ritrovato in diverse e variegate occasioni a dover rappresentare una fetta di Made in Italy in giro per il
mondo. Grazie alla fiducia incassata e per dare traccia a quello che era diventato il mio percorso
professionale ormai consolidato, ho deciso di “brevettarlo” dando vita al mio blog che nonostante sia
stato aperto solamente due anni fa, raccoglie un decennio di viaggi, valigie, calici e inchiostro.
L’Ambasciatore è un nome che mi piace tantissimo e, per aver sempre la battuta pronta, rispondo alla
classica “non porta pena” con “no, ma da bere”.

Se fossi un vino, che vino saresti?
Non ci sono dubbi, un Lacryma Christi. Innanzitutto per abbinamento territoriale, in quanto le mie origini
sono proprio dell’area vesuviana, poi perché raccoglie a sé tanti elementi di potenzialità ed
incompletezza che penso possano rappresentarmi a pieno. Il Lacryma Christi è infatti un vino che nasce
da un territorio “leggendario” e la sua fama ha avuto picchi importanti per alcuni decenni di storia.
Eppure, per via del suo caratteraccio è anche il peggior nemico di sé stesso, un po’ testardo,
malinconico e con quell’inguaribile vena romantica che talvolta lo allontana dalla realtà. Insomma, un
talento indiscusso ma molto selettivo e permaloso, genuino per chi ha pazienza di volerlo conoscerlo,
burbero e fuori moda per chi si limita ad un giudizio a prima vista. Se è vero che portiamo con noi
sempre un po’ di quella terra da cui proveniamo e se dovessi scegliere, vorrei che il Nello Gatti
paragonato al vino fosse citato come Curzio Malaparte descrive il Lacryma Christi nel libro “la pelle”.

Come pensi che il settore vitivinicolo si evolverà nei prossimi anni?
Ogni pensiero potrebbe risultare “antico” nel corso di pochi anni, addirittura mesi. Le mode si rincorrono,
i dettami dell’economia sovrastano il sistema natura e il prodotto vino, non dobbiamo dimenticarlo, è un
ciclo molto lento di convivenza uomo-natura che rischiamo di calpestare brutalmente se non ci si
allontana da logiche meramente commerciali. Cosa mi auguro, piuttosto, questo potrebbe essere un
elemento un po’ più stabile: vorrei piena consapevolezza del vino dalla terra al calice, destinando la
giusta attenzione che possa garantire al modello economico e quello della natura un rispetto reciproco
poggiato su interazione e ricchezza. Vorrei meno DOC e più sottozone, meno titoloni e più informazioni,
meno politica e più trasversalità, meno rumore e più condivisione. Specie in Italia, detentrice di numerosi
record e ai vertici nella produzione e biodiversità, sogno di bere locale e bene quando si visita un museo,
un enoturismo ben collaudato e integrato alla filiera cittadina, incoraggiata da una ristorazione attenta e
al servizio della conoscenza del territorio, abbandonando quindi quel provincialismo che tocca a più strati
l’intera filiera, da chi guarda il vicino a chi commenta i vicini d’oltralpe, lasciando spazio alle aperture e
alla consapevolezza anche dei propri limiti. Abbiamo una grande fortuna ma dobbiamo anche essere
capaci e saperla sfruttare, gestire e rinnovare. Da soli si va veloce ma insieme si va lontano, come mi
disse Maria Cristina Avallone, guarda caso una delle produttrici che più ammiro!

Quali consigli daresti a coloro che desiderano intraprendere una carriera come la tua?
Di stare molto attenti, in quanto c’è ancora poca considerazione della figura professionale che non sia
inserita in una Cantina o nella ristorazione, e anche in questi due casi, come ben sappiamo, non sempre
l’inquadramento (e annesse paghe) corrisponde alla valorizzazione e la crescita della risorsa. Lungo il
mio percorso ho avuto il piacere di vivere in entrambe le sfere e da quando ho cominciato a voler
ritagliarmi una posizione “nel mezzo” ho incontrato numerose difficoltà dovute ad incomprensioni e
mancanza di logica. Il problema è che ognuno bada solamente al proprio punto di vista, tralasciando
l’altra parte del mondo e del mercato cui non è a conoscenza. Eppure, sono sempre più convinto che nel
mezzo prima o poi si creeranno le condizioni per identificare figure che svolgano con professionalità e
dedizione quelle operazioni di comunicazione necessarie ad unire i produttori e i consumatori, in cui il
segmento marketing giocherà una parte fondamentale. Il segreto sta nell’individuare le competenze
richieste al fine di arricchire la macchina che ruota attorno al vino, che poggia su produzione e relativa
vendita, chiaro, ma che non deve tralasciare diversi punti chiave al fine di assorbire una più ampia e
informata fetta di mercato. Ciò che mi preme sottolineare a tutti coloro che hanno l’ambizione o la voglia
di trasformare la propria passione in vino in un lavoro, è un invito a non voler emulare casi di apparente
facile successo o a bruciare le tappe. Ogni carriera, affinché sia costruita su fondamenta solide e
veritiere, ha bisogno di conquistarsi la fiducia e ciò avviene solo con perseveranza, metodo, sacrificio e
tanto, tanto ascolto. Lasciate stare i follower e gli algoritmi quindi, il vostro canale deve essere di
comunicazione tra soggetti, non piattaforme.

Qual è la tua filosofia di vita, riassunta in una frase? Ce la spieghi?
C’è chi ha fatto molto meglio di me in passato e sono quindi a voler dare voce a loro utilizzando alcune
storie più o meno celebri che spesso mi accompagnano. Certo, se dovessi riferirmi a una personalità
inerente a questa materia, viste le sue indiscusse doti che hanno sapientemente mixato vino, cultura e
viaggio non possiamo non citare Mario Soldati e il suo “vino al vino”, una vera e propria bibbia per noi
appassionati. Nella vita di tutti i giorni, invece, spesso sono ispirato da personaggi non immediatamente
riconducibili alla viticoltura, ma utili e propedeutici nel rappresentare il mio modello ideale, o meglio
blend, dato che parliamo pur sempre di vino:
Condurre le prossime sfide sulle parole della traccia “a muso duro” di Pierangelo Bertoli, eseguire il
lavoro con ambizione e onestà come Frank Serpico, produrre con un proprio stile da “sabotatore
tranquillo” alla Magritte e lasciarsi guidare dalla “visione” come Adriano Olivetti.

L’Italia ha ancora un ruolo importante nello scenario internazionale?
Lo avrà sempre, grazie ad alcuni fattori a mio avviso eterni e altri societari in cui da sempre e per sempre
saremo in prima linea nella produzione, consapevolezza e gestione della questione vino a livello
internazionale. Se spesso ne menzioniamo l’utilizzo che se ne faceva già in epoca romana come si
abusa di provenienze da x generazioni di viticoltori, non vorrei però dimenticare gli enormi progressi ed
interventi sempre più spesso capitanati da giovani talentuosi e personalità under 40. Sono sicuro che
questa generazione post-metanolo, post-ideologia e nel loro caso specifico post-fiera (intesa sul vecchio
modello) sarà un solido baluardo che saprà difendere e diffondere il proprio patrimonio vitivinicolo,
rinnovandone le attenzioni e gestendo al meglio la scia verso il futuro. Ho il piacere di intervistarne
diversi ed è sorprendente riscontrare in alcuni di loro un bagaglio di conoscenza, esperienza ed
intelligenza davvero sensazionali. Nessuno slogan né dietrologia, ma un sincero augurio affinché questo
mosaico di maestranze possa essere rafforzato dagli strumenti e il supporto giusto in chiave rete Italia.
Il progetto realizzato a cui sei più legato e un tuo sogno nel cassetto.
Per quanto riguarda il mio sogno, non ne faccio mai mistero, quello di rendere le mie vicende una serie
tv, una “wine series”. Siamo invasi da orde di informazioni e/o distrazioni che talvolta ci parlano anche di
vino, ma lo fanno ancora a titolo di “corredo alimentare” o sotto forma di intrattenimento usa e getta tipico
dei social. Sogno uno spazio in cui poter rendere trasversale la materia, facendo sentire lo spettatore
parte attiva di un viaggio che raccoglie a sé la tipicità e il fattore storico, l’uso quotidiano e quel carattere
misterioso “tra mito e leggenda” che il mondo del vino sa e vuole tramandare. Svecchiare quel modello
di tv “alla Luca Sardella” ma non banalizzarlo come vedo spesso sulle piattaforme social, in cui è
l’algoritmo a veicolare il contenuto e non l’interesse genuino. Insomma, vorrei poter documentare quello
che i miei occhi ogni giorno hanno il piacere di assistere, con il sottofondo delle voci di chi custodisce un
tesoro ben più prezioso della propria vita, tra mille viaggi e sguardi che vorrei destinare a voi tutti con
sincerità e piacevolezza, senza troppo metterci la faccia, perché il messaggio sia più diretto tra voi e
loro. Per quanto riguarda i progetti realizzati, devo confessare che sono stati tanti ed estremamente
gratificanti: dall’ultimo B2B realizzato a Londra poche settimane fa agli eventi realizzati in Cantina e
presso i ristoranti, ogni piccolo avvenimento di cui ci si fa “promoter” comporta una grande serie di rischi
e sacrifici ma anche di sorprendenti ricompense. Piccolo trucco del mestiere: se a fine evento qualcuno
chiede il prezzo del vino allora in cuor tuo sai di aver fatto bene il tuo lavoro e per fortuna è andata quasi
sempre così.

Insegnare, scrivere di vino, bere? Qual è, secondo te, la cosa più difficile?
Sicuramente scrivere e ti spiego perché: Quando si insegna, eserciti una forma di autorità e per quanto
sia compresa o meno, la tua posizione e le tue parole hanno una prelazione sugli studenti. Sul bere,
invece, “siamo infelici perché incontentabili” citando Giacomo Leopardi e quindi non ci sarà mai un punto
di arrivo, permettendoci dunque di essere sempre all’altezza perché questo mondo non ammette
tuttologi. Scrivere invece è una faticaccia. Innanzitutto annoia il pubblico che difficilmente si sente coinvolto in fatti o cronache del tutto personali. Poi si aggiunge la difficoltà della sintassi, la grammatica,
che va di pari passo col rischio di essere banali, fraintesi o addirittura offesi. Scrivere è per pochi, così
come pochi sono i lettori, specie di questa nicchia, ma vorrei invitare i più coraggiosi a farlo, magari
lasciandosi guidare da autori esperti o redazioni giornalistiche, perché è una delle poche testimonianze
che certificano nero su bianco un nostro intervento in questo settore. Anche per questo motivo, invito tutti a riflettere sempre sul tipo di contenuto e il peso che gli si vuole dare, perché se da una parte siamo
stanchi dei titoli “tradizione e innovazione” o “grande successo” dall’altro siamo stufi di egocentrismi e
classifiche che catalogano il proprio ego per una questione di click e sponsor. Si legge poco, è vero, ma
forse qualche colpa va indirizzata a una classe di giornalisti che per anni non ha rinnovato questo
modello e monopolizzando il proprio mestiere in lobby, si è ritrovata scaraventata ai margini dall’ondata
dei social e i relativi blogger. Oggi si preferisce il contenuto immediato, di bassa qualità e seguendo i
trend a discapito del ragionamento. Non abbiate paura voi che siete in grado di riflettere e scrivere, sono
consapevole del fatto che le difficoltà saranno maggiori delle ricompense, ma la vostra integrità e
consapevolezza dureranno ben oltre le mode e le challenge di chi vuole anche dal mondo del vino
sottrarre una porzione di competenza sulla base di click, view e follower. Chi mi segue lo sa bene, porto
avanti con orgoglio una campagna ANTI INFLUENCER affinché nel mondo del vino ci si ritrovi tra
persone normali, nessuna superstar, in cui non ci si priva del piacere di raccontare e condividere senza
doversi mai sentire non all’altezza.

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L’eccellenza da oggi conviene di più

Grazie al Bonus Chef puoi ottenere un credito fino ad un massimo di 6.000 euro per le spese sostenute nel 2021 e 2022 per la tua formazione professionale.  

Dal 27 febbraio 2023 sarà possibile presentare domanda al Ministero delle Imprese e del Made in Italy per il Bonus Chef.

CHE COS’É?

Il Bonus Chef 2023 consiste in un credito d’imposta del 40% (fino ad un massimo di 6.000 euro) riconosciuto sulle spese legate al settore della ristorazione a favore dei soggetti esercenti l’attività di cuoco professionista presso alberghi e ristoranti.

PER OTTENERE IL BONUS:

– bisogna aver sostenuto, tra il 1° gennaio 2021 e il 31 dicembre 2022, una o più delle spese ritenute ammissibili al beneficio

– si deve essere residenti o stabiliti del territorio dello Stato;

– i soggetti richiedenti devono essere nel pieno godimento dei diritti civili.

LE SPESE AMMISSIBILI:

– Acquisto di beni strumentali durevoli (macchinari di classe energetica elevata per la conservazione, la lavorazione, la trasformazione e la cottura dei prodotti alimentari, strumenti e attrezzature professionali per la ristorazione)

– Partecipazione a corsi di aggiornamento professionale.

COME FUNZIONA IL BONUS CHEF 2023

Il credito del 40% è utilizzabile in compensazione mediante F24, che andrà presentato all’Agenzia delle Entrate. Il credito è esente da IRPEF e IRAP. 

È possibile, inoltre, la cessione del credito con il trasferimento dell’agevolazione ad altri soggetti, compresi gli istituti di credito e gli altri intermediari finanziari. 

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